Non sono ricette

Come si fa la Tahina di ammo Sami

Non potevamo più rimandare, quel giorno dovevamo andare a comprare dei vestiti nuovi. 

Come succede a molti ragazzini in tutto il mondo, quando ero piccolo non ero certo felice al pensiero di passare una giornata per negozi. Quando tutto ciò che avevo nell’armadio diventava inadatto, però, i miei non sentivano ragioni. In casa mia per comprare scarpe e vestiti si andava a Jenin

In famiglia eravamo cinque fratelli maschi, tutti abbastanza capricciosi e con gusti molto diversi. Quando partivamo per queste spedizioni-riempi-armadio, i nostri genitori ci obbligavano provare e riprovare di tutto. I negozi erano davvero tanti, mi sembrava che il tempo non passasse mai. 

Fortunatamente, però, andare a Jenin non significava solo rifarsi il guardaroba. 

In quelle giornate l’ora di pranzo era sempre la più attesa e a Jenin non si faceva fatica a trovare un posto dove mangiare qualcosa di buono. E così, anche quel giorno, a un certo punto è arrivato il momento del pranzo. Finalmente!

Le vie del centro erano piene di ristoranti, ristorantini, bettole e bancarelle mobili (sì, le antenate rurali dei moderni food truck) che preparavano panini al momento e grigliavano di tutto e di più. 

Oggi come allora, quando mangio la carne grigliata mi piace accompagnarla con un po’ di hummus spalmato sul pane. Probabilmente, quel giorno io e i miei avevamo deciso di pranzare un po’ tardi perché quando ci siamo seduti in un ristorantino e ho chiesto dell’hummus mi è stato risposto che era già finito. 

Il signore che serviva ai tavoli, però, ha notato la mia delusione e ha deciso di invitarmi in cucina per preparami una salsa alternativa all’hummus, il pezzo forte della cucina palestinese che tanto desideravo.

Ammo Sami – questo era il suo nome – mi ha fatto attraversare il bancone e mi ha accompagnato in una cucina mezza disastrata. Qui, con gesti esperti e rapidissimi, ha preso da un barattolo tre cucchiai di tahina, li ha versati in una ciotola e ha aggiunto un pizzico di sale e una spruzzata di limone, cominciando a mescolare.

Ecco come si fa la tahina, ho pensato. Era la prima volta che vedevo preparare così questa magica pasta di sesamo.

Mentre Sami mescolava, ho visto la tahina asciugarsi e irrigidirsi. Lui allora ci ha versato un po’ d’acqua. La salsa di tahina ha ripreso a emulsionare, sciogliersi e schiarirsi, e solo allora ammo Sami ha smesso di mescolare, spiegandomi che la salsa perfetta non deve essere secca ma neanche troppo liquida.

Secondo lui, anche la tahina non andava versata sulla carne grigliata ma spalmata sul pane, proprio come facevo io con l’hummus.

Io ero solo un bambino e quella dimostrazione di cucina fatta da quello che nella mia testa era un vero e proprio chef palestinese, mi aveva entusiasmato. Con la mia ciotolina piena di profumatissima salsa di tahina, quindi, stavo tornando dai miei per mangiare il mio piatto speciale, tutto felice e orgoglioso… Ma non ho fatto nemmeno in tempo a sedermi. 

Le urla arrivavano da tutte le parti, clienti e dipendenti del ristorante erano nel panico.

Quello che mi sembrava un mare in tempesta fatto di persone spingeva per raggiungere la porta d’uscita. Veloci! Veloci! L’unica cosa che ricordo nitidamente è l’urlo di ammo Sami: di nuovo un Shahid!

Shahid significa martire. 

Io e miei fratelli, terrorizzati, abbiamo seguito i passi decisi di mio padre, che in mezzo alla folla ha trovato per noi la strada verso la macchina. Ma prima di salire in macchina ho guardato indietro e l’ho visto. Sì, ero un bambino ma l’ho visto, il Shahid. 

Lo stavano portando non so dove, stavano correndo. Il corpo quasi esanime dell’uomo, del Shahid, perdeva sangue dalla schiena. Il sangue bagnava i volti dei ragazzi che stavano cercando di salvarlo. Dietro di loro, una jeep militare israeliana sparava in aria e li inseguiva.

Era il maggio del 1989, era da poco scoppiata la prima intifada e io avevo appena compiuto 10 anni.

Non ho mai assaggiato la tahina di ammo Sami, ma nella mia testa ha un sapore eccezionale.

Sono rientrato a Jenin per la prima volta nel 2016, dopo 27 anni e centinaia di martiri. Di quel ristorante non ci sono tracce. E nemmeno di ammo Sami.

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